ARIANNA, IL LABIRINTO NERO
storia di una frammentazione
Una visione teatrale spietata e poetica, dedicata alla salute mentale femminile e in particolare al disturbo da dipendenza affettiva, che ne esplora le fratture con uno sguardo verticale, lirico e impietoso.
In scena una sola attrice, che dà corpo e voce a tre figure distinte, come tre stanze separate della coscienza: ciascuna con un ritmo, un linguaggio, un altare.
Lo spettacolo intreccia poesia, filosofia, psicoanalisi e misticismo, facendo di ogni scena un atto liturgico della mente.
Il Minotauro non è mostro mitologico, ma simbolo della manipolazione affettiva e del trauma.
Una trasposizione che rilegge il mito attraverso la lente biografica di Dora Maar, che nel suo diario scrive:
«Lo chiamavo il Minotauro. Non mi amava. Mi divorava.»
La drammaturgia affonda nelle visioni di Santa Teresa d’Avila, nel sacrificio lucido di Dora Maar, nell’abbandono ribelle di Nora Helmer, e nella visione spoglia della Città di K. di Agota Kristof.
Accoglie il pensiero di Carl Gustav Jung e la sua teoria dell’Ombra, la scrittura notturna di Fernando Pessoa, la visione simbolica di Friedrich Dürrenmatt, e le riflessioni psicoanalitiche di Roberto Viganoni.
Il filo di Arianna, qui, non è via d’uscita: è atto di memoria e tessitura della coscienza.
La colonna sonora attraversa la musica classica, l’elettronica, il jazz e l’autorialità spirituale italiana (Battiato, Giuni Russo), con l’inclusione di toni binaurali a frequenza infrasonica, capaci di agire a livello percettivo sottile.
Arianna, il labirinto nero è una liturgia del frammento,
in cui la frattura non chiede guarigione, ma ascolto.
⭐️ Struttura drammaturgica innovativa
⭐️ Sincretismo poetico e filosofico
⭐️ Visione scenica iconica e rituale
Prima prevista per l’autunno 2025.